Ho sentito la mia prima musica dal vivo da mesi. E Non c’è niente di paragonabile!
Si sta tornando, con molta cautela, ai concerti dal vivo.
Si erano conclusi bruscamente a marzo quando il coronavirus si è diffuso in tutto il mondo, lasciando i musicisti senza lavoro e il pubblico fuori dalle sale da concerto.
I musicisti si sono riversati su Internet, trasmettendo live streaming, concerti preregistrati o presi dagli archivi: ma niente batte la musica reale, niente batte il “vero” suono.
Quel suono sta finalmente tornando a farsi sentire. Un’esperienza un tempo quotidiana, come andare a un concerto, è diventata qualcosa di prezioso. Qualcosa che si dava per scontato è diventato qualcosa di prezioso: chissà se almeno questa lezione diventerà un effetto, positivo, a lungo termine, della pandemia…
Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che avevo assistito a un concerto, che non ricordavo nemmeno quando. Ho controllato nei vecchi messaggi e l’ultima volta che avevo ascoltato un concerto dal vivo era stata il 19 febbraio a Verona nella chiesa di San Pietro in Monastero.
Da allora più niente. Sei mesi di iato.
Apprezzare le live su internet è difficile, almeno per me, in quanto siamo stati “addestrati” a trattare i media digitali come se non richiedessero mai la nostra completa attenzione, e non è un’abitudine facile da spezzare.
È difficile anche trasmettere la forza della musica (specie se classica) in un formato solo online. Vivere il suono di persona, in mezzo ad altri, risulta essere ancora più importante di quanto pensassi.
E, aggiungerei: per fortuna!
E così, per fortuna, recentemente (il 17 agosto), ho avuto il piacere di ascoltare la musica dell’High Club Quintet (quintetto swing di Verona composto da Giulia Prandelli alla voce, Marcel Frumusachi al violino, Nicola Benetti alla fisarmonica, Giordano Brunelli alla chitarra, Thomas Dal Cappello al contrabbasso), alla Trattoria La Val di Costermano.
Era un live all’aperto, sotto un portico, e io ero seduta su delle scale che non erano coperte, nonostante minacciasse di piovere.
Ecco, ho capito subito ciò che mi era mancato profondamente: le persone.
Certo, mi dà ancora fastidio il rumore del pubblico, se parla ad alta voce o ride. Ma la “novità” dell’essere di nuovo ad ascoltare musica in mezzo ad altri esseri umani mi ha fatto venire le vertigini: era il ritorno a qualcosa di familiare; eravamo, di nuovo, insieme.
Mentre i musicisti suonavano, ho pensato a tutta la musica che avrei dovuto sentire in questi mesi, a tutti i concerti che prima erano rinviati di settimana in settimana e poi sono stati definitivamente cancellati.
Non riuscivo a smettere di pensare a tutti gli artisti, al loro lavoro perso durante questi sei assurdi mesi.
Eppure era una gioia essere lì. Non solo per ascoltare musica, ma anche per chiacchierare con un signore sconosciuto che era venuto lì in moto, proprio per ascoltare musica dal vivo, oppure per incrociare di nuovo altri musicisti che ho riconosciuto tra il pubblico.
La musica non è solo un pretesto per riunirsi, ma semplicemente riunirsi è stato per me quasi altrettanto soddisfacente quanto ascoltare la musica
E non solo ascoltarla, ma anche reagire a essa.
Spostarsi dagli scalini a un tavolo perché ormai aveva cominciato a piovere; scambiarsi dei sorrisi durante gli applausi, o chiedersi a vicenda i titoli dei pezzi.
Non c’è niente di paragonabile.
Lascia un commento